Ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di plastica poco utilizzata entrano negli oceani. Rifiuti solidi plastici non biodegradabili, anidride carbonica, gas serra, vari inquinanti atmosferici, idrocarburi aromatici policiclici cancerosi e diossine, se rilasciati nell’ambiente causano gravi danni. È assolutamente necessario ridurre la quantità di plastica presente nei rifiuti, promuovere e porre al primo posto un sistema di riciclo, oggi possibile grazie alla ricerca.
Le plastiche a base di petrolio, usate fino ad oggi, possono essere sostituite con polimeri a base biologica – biodegradabili e rinnovabili – al fine di ridurre al minimo i rischi ambientali. Queste plastiche biodegradabili, infatti, possono essere utilizzate in moltissimi settori, come ad esempio negli imballaggi alimentari, nelle borse della spesa e nelle applicazioni agricole. È importante creare una comunicazione efficace tra la sostenibilità e i mercati su come le bioplastiche possono essere messe in servizio nel futuro.
Ma cosa sono le bioplastiche?
Le bioplastiche comprendono un’intera famiglia di polimeri a base biologica con proprietà e applicazioni diverse. Secondo l’organizzazione di categoria European Bioplastics, un materiale plastico è definito come bioplastica se è biobased, biodegradabile, o presenta entrambe le proprietà.
Per biobased s’intende che il materiale o il prodotto è (parzialmente) derivato dalla biomassa (piante). La biomassa usata per le bioplastiche deriva per esempio dal mais, dalla canna da zucchero o dalla cellulosa. Un materiale biodegradabile, invece, è in grado di decomporsi attraverso , un processo chimico durante il quale i microrganismi disponibili nell’ambiente convertono i materiali in sostanze naturali come acqua, anidride carbonica e compost, senza necessari additivi artificiali. La proprietà della biodegradazione non dipende dalla base di risorse di un materiale ma è piuttosto legata alla sua struttura chimica, infatti, le plastiche biobased al 100% possono essere non biodegradabili, mentre le plastiche a base fossile al 100% possono biodegradarsi.
I vantaggi
I vantaggi di utilizzare le bioplastiche sono molteplici. Primo fra tutti il risparmio di risorse fossili grazie all’uso della biomassa che si rigenera annualmente. Un elemento che di per sé darebbe una spinta al raggiungimento della neutralità dal carbonio. La biodegradabilità inoltre, è una proprietà aggiuntiva di certi tipi di bioplastiche, il che comporta un minore impatto ecologico e di conseguenza meno inquinamento.
Il contenuto di materia organica presente nella bioplastica può variare in termini percentuali. Ad oggi infatti, gran parte delle plastiche biobased sono composte comunque, in percentuale più o meno ampia, anche da risorse di origine fossile. La ricerca sta facendo enormi passi avanti e il settore è in continua evoluzione.
Certo è che la produzione di bioplastica, con l’uso esclusivo di materie prime rinnovabili, permetterebbe una significativa riduzione dei danni ambientali causati dalle plastiche tradizionali.
Possono presentarsi alcune criticità sulle quali riflettere come ad esempio la coltivazione di materie prime rinnovabili e di biomassa, che rischiano di incidere in maniera rilevante sulla carbon footprint. Inoltre, non tutte le bioplastiche si degradano in un arco di tempo contenuto; è realistico affermare che alcune di esse si decompongono dopo decenni o addirittura secoli, soprattutto se non differenziate correttamente.
Nella produzione di bioplastiche è necessario considerare che si ha un utilizzo di additivi grazie ai quali è possibile raggiungere le performance desiderate ma, allo stesso tempo, questi additivi attualmente sono per la maggior parte composti di derivazione petrolchimica, che rendono la bioplastica non completamente sostenibile.
Il PLA: una bioplastica versatile e promettente
Una delle possibili alternative è la creazione di PLA (acido polilattico), un nuovo tipo di bioplastica prodotta attraverso processi che sfruttano biomasse e fermentazioni microbiche. Il PLA è un poliestere termoplastico, è totalmente biodegradabile, compostabile e a fine vita non rilascia residui inquinanti. Si tratta quindi di una bioplastica che, nonostante abbia peculiarità tecniche simili alle plastiche di origine fossile, deriva da fonti rinnovabili come le biomasse. Inoltre, può essere ottenuta da macchinari già esistenti, rendendo la sua produzione economicamente vantaggiosa.
L’acido polilattico ha una notevole gamma di applicazioni ed è al secondo posto per quanto riguarda il volume di produzione di una qualsiasi bioplastica al mondo. Il PLA ha una particolare sensibilità al calore, ciò lo rende particolarmente adatto ad essere impiegato come materiale termoretraibile, dato che si restringe se posto vicino a fonti di calore, e si può utilizzare nel settore della stampa 3D grazie alla sua capacità di sciogliersi facilmente. Infine, altri esempi di applicazione del PLA sono la pellicola da cucina, le bottiglie e i dispositivi medici biodegradabili.
Obiettivi ambiziosi: il futuro del riciclo delle bioplastiche
La produzione di bioplastiche è certamente un passo in avanti rispetto ai materiali derivati dai combustibili fossili, soprattutto dal petrolio. È importante procedere in questa direzione per trovare metodi alternativi. Evitare l’impiego delle materie plastiche, canalizzare la plastica presente nei centri appositi per una sua corretta differenziazione e utilizzare sempre più plastiche biodegradabili permetterà di diminuire il volume dei rifiuti prodotti e ci aiuterà a mantenere più pulito il nostro pianeta.Per concludere, è importante sottolineare che a livello di politiche si sta pensando non solo alla produzione, ma anche al fine vita delle bioplastiche.
Da un anno e mezzo infatti esiste Biorepack primo consorzio in Europa di filiera per la gestione del fine vita degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile raccolti con la frazione organica dei rifiuti e trasformati, con specifico trattamento industriale, in compost. Biorepack, collocato all’interno del sistema CONAI, si occupa quindi dell’organizzazione, della promozione e dell’incentivazione all’avvio al riciclo e lo fa attraverso lo sviluppo della raccolta differenziata e dell’etichettatura degli imballaggi, preoccupandosi che i cittadini/consumatori siano in grado di riconoscerli, al fine della corretta gestione di tali materiali nell’ambito della raccolta differenziata. L’obiettivo attuale è quello di effettuare un “riciclo minimo” di almeno il 50% degli imballaggi immessi sul mercato entro il 31 dicembre 2025, e almeno il 55% entro fine 2030.