Alzi la mano chi non ha discusso, almeno una volta, delle tantissime implicazioni del Superbonus, da più parti definita epocale. Tra fenomeni inflattivi, modifiche normative, scontri politici e cantieri aperti, il sistema per accelerare la transizione energetica degli edifici è comunque partito. Mentre l’Europa bussa alle porte con nuovi obblighi.
Nato in piena pandemia, cresciuto sotto il cappello di tre diversi governi, modificato oltre 30 volte, il Superbonus 110% è ormai l’intreccio di un complicato romanzo che tiene tutti con il fiato sospeso. Mentre scriviamo è ancora in corso l’acceso dibattito sullo stop alla cessione dei crediti introdotto dal Governo Meloni a metà febbraio, con un decreto lampo che dall’oggi al domani ha stravolto un impianto – già non privo di criticità – senza far intravedere un’effettiva via di uscita.
Partiamo dai dati certi. Nel biennio 2020-2022 la misura per l’efficienza energetica degli edifici ha prodotto 62,4 miliardi di lavori su circa 360mila edifici tra condomini, case unifamiliari, unità indipendenti. Le certificazioni di conformità degli interventi sono arrivate a 359.440, i lavori conclusi ammontano a 46,63 miliardi, con detrazioni maturate per 51,29 miliardi. Il risparmio energetico generato è importante e si avvicina ai 900 milioni di metri cubi standard di gas. Il bilancio – con le cifre di Enea e del Centro Studi Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) – mostra un fenomeno, oltre che economico, anche sociale, che ha cambiato il passo dell’edilizia nel nostro Paese.
Gli interventi
Secondo i dati del rapporto finale di Enea, a trainare il Superbonus sono stati i lavori sull’involucro dell’edificio: oltre il 61% degli interventi ha infatti riguardato cappotti termici, infissi, coibentazione di tetti e soffitto. Il solo cappotto termico è stato l’oggetto del 26,7% degli investimenti. Per quanto riguarda gli impianti, che sono valsi circa il 18% degli investimenti, la maggior parte delle richieste ha riguardato i sistemi ibridi, seguiti dalle pompe di calore e dalle caldaie a condensazione. Più contenuta la cifra per gli impianti fotovoltaici, circa l’8% degli investimenti, insieme a un importante 7,4% per i sistemi di accumulo.
L’impatto economico sociale
Tutti gli interventi, oltre a migliorare la classe energetica degli edifici, hanno generato un vivace indotto e una decisa ripresa del settore edilizio. Il superbonus è diventato un fenomeno sociale. “Nella valutazione di questi strumenti – commenta Francesco Estrafallaces del Centro Studi CNI, autore dello studio sul Superbonus – ci si sofferma troppo sull’ammontare degli investimenti, sottovalutando le ricadute positive per la collettività. Sempre secondo le nostre stime, infatti, la spesa di 62,4 miliardi di euro attivata nel periodo 2020-2022 dal Superecobonus 110%, ha generato un valore aggiunto nel comparto delle costruzioni e dei servizi tecnici connessi pari all’1% del Pil e coinvolto oltre 1 milione di occupati”.
Il Centro Studi CNI stima che i 58,1 miliardi di spesa totalizzati negli ultimi due anni abbiano attivato una produzione diretta, nel comparto delle costruzioni, dei Sia e nell’indotto, di almeno 84 miliardi di euro e una produzione totale di almeno 122 miliardi di euro. Le unità di lavoro dirette coinvolte sono state stimate in almeno 616.000 nei comparti costruzioni, servizi tecnici connessi e indotto. Il Superbonus inoltre ha generato valore aggiunto nel comparto delle costruzioni e dei Sia per almeno 33 miliardi di euro e un valore aggiunto di 52 miliardi di euro. Nel solo 2022 il contributo, in termini di valore aggiunto, alla formazione del Pil è stato dell’1,4%.
L’impatto sull’ambiente
Secondo il rapporto di ricerca del Censis pubblicato lo scorso novembre, in due anni gli investimenti attivati hanno prodotto un risparmio energetico pari a circa 11.700 GWh/anno. Insieme ai 150 GW/anno di nuova potenza rinnovabile installata, è stato stimato un minor consumo di gas necessario alla produzione elettrica e al riscaldamento domestico che si aggira intorno a 1,1 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
In totale il risparmio garantito dai bonus edilizi si aggira intorno ai 2 miliardi di metri cubi di gas, pari a oltre i 2/3 di tutti i risparmi di gas previsti dalle ultime misure di riduzione dei consumi per il settore domestico.
La riduzione nelle emissioni di CO2 è stimabile in 1,4 milioni di tonnellate di mancate emissioni, che rappresentano un contributo importante alla riduzione dell’impronta ecologica del patrimonio edilizio italiano. Un ulteriore elemento messo in evidenza dal Censis è, infine, l’assenza di impatto degli interventi di riqualificazione immobiliare sul consumo di suolo, un aspetto che assume particolare rilevanza per il nostro territorio.
Cosa non ha funzionato
Al netto della tempesta nota come “cessione dei crediti”, è importante ricordare che la misura ha riguardato solo una piccola, seppur significativa, percentuale del patrimonio edilizio italiano.
Come ha ricordato la Cgia di Mestre infatti, nel nostro Paese sono presenti quasi 12,2 milioni di edifici residenziali, e finora questa misura ha interessato solo il 3,1% del totale degli immobili ad uso abitativo. Ancora meno secondo le stime del report 110%Monitor di Nomisma. In questo calcolo i cantieri che dovrebbero essere stati conclusi sono circa 232.000 e coprirebbero meno del 2% del parco edifici residenziali in Italia.
Dal medesimo report inoltre, emerge con chiarezza che ad aver beneficiato maggiormente del Superbonus siano state le fasce sociali con maggiore disponibilità economica. Il 47% degli investimenti infatti, pari a complessivi 30,5 miliardi di Euro (e un investimento medio pari a 594.892 euro), ha riguardato interventi pianificati nei condomini, contro 24,5 miliardi degli edifici unifamiliari (113.846 euro di media) e 10,3 miliardi relativi a edifici funzionalmente indipendenti (96.878 euro di media).
Sul totale delle asseverazioni inoltre, “solamente 51.247 hanno riguardato condomini – si legge – ovvero la tipologia di abitazioni che maggiormente avrebbero dovuto beneficiare dal provvedimento, contro le 215.105 degli edifici unifamiliari e le 105.945 delle unità funzionalmente indipendenti”.
Benefici per le fasce più deboli, ma con effetti collaterali sui prezzi
Il profilo tracciato da Nomisma è chiaro: il 25% di coloro che hanno già usufruito della misura presenta un reddito familiare più elevato della media (oltre i 3.000 euro al mese) e nel 23% dei casi è proprietario di una seconda casa. Sono però stati 1,7 milioni gli italiani con reddito medio-basso ad aver beneficiato del provvedimento. Un dato a conferma del fatto che la misura ha reso possibile l’accesso alla riqualificazione a una porzione di popolazione meno abbiente che, altrimenti, non ne avrebbe usufruito.
Un altra nota dolente è stata quella del rincaro dei prezzi. Su questo punto l’Ordine degli Ingegneri è intervenuto più volte per chiedere correttivi in grado di evitare che gli interventi di ristrutturazione potessero “innescare fenomeni inflattivi sui prezzi dei materiali da costruzione, sulle opere e sui servizi connessi”. Fenomeni che purtroppo si sono concretizzati.
Cosa succederà
“Preservare l’equilibrio del bilancio dello Stato è certamente una priorità assoluta ma, alla luce delle evidenze prodotte, certamente vale la pena trovare una modalità abilitante che consenta di salvare la parte buona di un meccanismo sano seppur non sempre usato in modo corretto”. A dirlo è ancora Nomisma, che cita anche la previsione di lungo periodo relativa agli obblighi imposti dalla Commissione Europea.
Infatti, la proposta di revisione della Direttiva EPBD ribattezzata “Case green”, in discussione al Parlamento europeo, chiede agli Stati membri (fra le altre cose) di destinare 40 miliardi all’anno per i soli edifici residenziali, più 19 miliardi per la riqualificazione energetica degli immobili strumentali. Anche se il testo prende in considerazione solo il 15% del patrimonio più energivoro (quello in classe G), a partire dagli interventi considerati prioritari, le cifre hanno messo in allarme un sistema già allertato.
L’iter di adozione è ancora molto lungo e non si escludono aggiustamenti o resistenze di singoli stati membri, ma la direzione è tracciata. Del resto la Direttiva ha ormai più di 10 anni e già nel 2010 richiedeva che tutti i nuovi edifici nell’UE soddisfacessero lo standard nZEB (Edifici a energia quasi zero) entro la fine del 2020 e che tutti i nuovi edifici pubblici lo soddisfacessero entro la fine del 2018. Il ritardo è evidente.
Secondo l’Unione internazionale dei proprietari di immobili (IUPO), che sostiene l’obiettivo della neutralità edilizia entro il 2050, le proposte di modifica della Direttiva richiederanno la ristrutturazione di almeno 40 milioni di edifici dell’UE entro il 2033, una sfida enorme che si scontra anche con la carenza di lavoratori edili qualificati. Il dibattito è aperto, le prospettive a medio termine sono ancora incerte ma la strada, come dicevamo, è segnata. L’abitare europeo dovrà essere green.