Nel 2024 i consumi elettrici del Paese sono stati soddisfatti per il 41,2% da fonti rinnovabili: il dato più alto di sempre. Ma la scarsa ambizione contenuta negli obiettivi del DM aree idonee si scontra con la rapidità con cui avanza la crisi climatica, a livello globale e soprattutto nazionale.
Sullo sfondo resta in piedi il Piano elettrico 2030 di Elettricità futura, che punta a produrre l’84% di elettricità da fonti rinnovabili. Sarebbe una chiave di volta per sostenere la competitività e abbattere i costi in bolletta
I dati di Terna
L’ultimo è stato un anno da record per lo sviluppo delle energie rinnovabili (anche) in Italia. Anche se ancora una volta il nostro Paese non sia riuscito a imprimere l’accelerazione necessaria a traguardare gli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2030. Una fondamentale tappa intermedia per giungere entro il 2050 a un’economia a emissioni nette zero.
In base ai dati messi in fila da Terna, la società che ha in carico la gestione della rete elettrica nazionale, i consumi elettrici del Paese sono aumentati del 2,2% rispetto al 2023, arrivando a quota 312.285 GWh. Tale domanda è stata soddisfatta al 42,5% dalla produzione da fonti energetiche non rinnovabili. Per il 41,2% da fonti rinnovabili – il dato più alto di sempre – e la restante quota dal saldo estero.
Più nel dettaglio, nel 2024 la produzione energetica da fonti rinnovabili è pari 128,7 TWh. È in aumento rispetto al 2023 (+13,4%) e contribuisce così per il 48,8% alla produzione totale netta italiana – spaziando dal massimo di maggio (61,5%) al minimo di novembre (39,7%) –, anche in questo caso in aumento rispetto al progressivo 2023 (44,2%).
Il mix delle fonti
Guardando al mix delle varie fonti, nel corso dell’anno il peso della produzione idroelettrica (grazie alla maggiore piovosità) e del fotovoltaico (per merito dell’incremento nelle installazioni) è in aumento. Invece, il contributo delle restanti fonti è in generale diminuzione rispetto al 2023. Nel 2024 infatti dalla geotermia è arrivato il 4,1% della produzione elettrica da rinnovabili. E ancora, il 10,2% dalle biomasse, il 17,2% dall’eolico, il 28% dal fotovoltaico e la quota rimanente (40,5%) dall’idroelettrico.
Nel complesso, durante l’ultimo anno solare la potenza rinnovabile in esercizio aggiunta nel Paese ammonta a +7,48 GW. Ovvero un dato superiore di 1,69 GW (+29%) rispetto al 2023. Per la quasi totalità (+6,8 GW) si tratta di nuovi impianti fotovoltaici, distribuiti soprattutto tra Lazio (+1,25 GW), Lombardia (+766 MW) e Sicilia (+505 MW). Assai più modesto l’incremento di capacità eolica in esercizio, che è aumentata di soli 685 MW. In questo caso l’incremento maggiore è in Campania con +218 MW, seguita da Sicilia (+166 MW) e Puglia (+131 MW). Complessivamente, a fine 2024 in Italia si registravano 76,6 GW di potenza installata da fonti rinnovabili, di cui 37,1 GW di solare e 13 GW di eolico. Rispetto a quanto previsto dal DM aree idonee (21 giugno 2024), il target fissato per il quadriennio 2021-2024 di nuove installazioni è stato superato di 1,6 GW. Ma con risultati assai eterogenei lungo lo Stivale. Si va dal buon risultato del Lazio (+963 MW rispetto al target) al pessimo della Puglia (-316 MW).
Un buon dato che stride con la rapidità della crisi climatica
Il quadro della transizione energetica tratteggiato dai dati Terna mostra dunque un andamento positivo. Tuttavia le buone notizie si fermano qui. Infatti, la scarsa ambizione contenuta negli obiettivi delineati dal DM aree idonee si scontra con la rapidità con cui avanza la crisi climatica. Sia a livello globale ma soprattutto nazionale. Il Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus (C3S), ovvero il programma europeo di punta per l’osservazione della Terra, informa che il 2024 ha segnato +1,6°C nella temperatura media atmosferica globale rispetto all’era preindustriale (1850-1900). E +0,72% rispetto al trentennio climatologico compreso tra il 1991 e il 2020. In altre parole il 2024 è stato il primo anno solare che ha superato di oltre 1.5°C il livello preindustriale. Un dato che – se superato stabilmente, ovvero per almeno 3-5 anni – infrangerebbe la prima soglia di sicurezza individuata dall’Ipcc. Una soglia inclusa anche nell’Accordo di Parigi sul clima per evitare cambiamenti climatici devastanti quanto irreversibili nella scala dei tempi umani. È l’ennesima testimonianza di una accelerazione nel surriscaldamento globale, dato che le previsioni erano di non infrangere questa prima soglia prima del 2030.
Se questa è la tendenza a livello globale, l’Europa e l’Italia si confermano degli hotspot della crisi climatica in corso. Infatti, l’anomalia di temperatura registrata nel Vecchio continente è pari a +1,47°C rispetto al periodo 1991-2020. Si tratta dl doppio del dato globale – con l’Italia che oscilla tra +2,1 e +2,4°C rispetto all’era pre-industriale. Il nostro Paese ha dunque già infranto anche la seconda soglia di sicurezza (+2°C) individuata dall’Accordo di Parigi. Le conseguenze sono già palpabili sui territori. L’Osservatorio CittàClima di Legambiente documenta ben 351 eventi meteo estremi che si sono abbattuti sulle varie regioni italiane nel corso del 2024, registrando una crescita del 485% rispetto al 2015.
Il ritmo di installazione di nuovi impianti rinnovabili è troppo lento
Di fronte a questa realtà, l’Italia difetta. Sia per quanto riguarda i necessari investimenti sul fronte dell’adattamento dei territori, sia sul fronte della mitigazione. Ovvero nel taglio delle emissioni di gas serra legate all’impiego dei combustibili fossili. Come emerge proprio dai dati Terna, anche il 2024 si è chiuso con un ritmo lento di installazione dei nuovi impianti rinnovabili. Un ritmo ben al di sotto dei circa +12 GW annui individuati come necessari per rispettare i target europei fissati dall’iniziativa RePowerEu dall’associazione confindustriale Elettricità futura, che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale. In base al Piano elettrico 2030 predisposto dall’associazione, la potenza rinnovabile in esercizio al 2030 nel nostro Paese dovrebbe infatti arrivare a quota 145 GW. Cioè quanto basta per arrivare a produrre l’84% dell’elettricità italiana da fonti rinnovabili rispetto all’attuale 48,8%.
Le imprese rappresentate da Elettricità futura si dichiarano pronte, ormai da due anni, a investire 320 miliardi di euro per dare corpo a questo Piano elettrico. Piano che rappresenterebbe una chiave di volta per sostenere la competitività economica italiana abbattendo i costi in bolletta per cittadini e imprese. Come spiegato dall’allora presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo, durante la presentazione del Piano alla presenza dei ministri Pichetto e D’Urso, è «un percorso di indipendenza e sicurezza nazionale, oltre che di decarbonizzazione, e una strategia di sviluppo della filiera elettrica in linea, peraltro, con gli obiettivi europei. Il Piano prevede di allacciare alla rete 85 GW di nuove rinnovabili al 2030, portando all’84% le rinnovabili nel mix elettrico. Raggiungendo questo traguardo, nei prossimi 8 anni l’Italia potrà ridurre di 160 miliardi di metri cubi le importazioni di gas con un risparmio di 110 miliardi di euro».
Policy che penalizzano
Non è andata così. In base alle stime elaborate da un’altra associazione confindustriale come l’ex Unione petrolifera – oggi Unione energie per la mobilità (Unem) – la dipendenza del nostro Paese dall’import di fonti fossili ci è costata 230 miliardi di euro negli ultimi tre anni. Di cui 48,5 solo nel 2024, dove il petrolio ha inciso per 21,2 mld di euro e il gas naturale per altri 20,6.
Non si tratta di fatalità, ma di precise scelte di policy. Per la prima volta lo scorso autunno, le due associazioni aderenti a Confindustria che insieme rappresentano l’intera filiera nazionale dell’energia elettrica (la già citata Elettricità futura e Federazione Anie) hanno firmato un appello congiunto indirizzato a Palazzo Chigi. L’appello è per rivedere l’attuale assetto normativo sulle fonti rinnovabili – spaziando dal decreto ministeriale Aree idonee, al decreto legge Agricoltura al Testo unico per le rinnovabili. «Rischia di tradursi in un vero e proprio stop ai progetti già in corso di autorizzazione, in netto contrasto con il principio del legittimo affidamento, e di rendere il 96% del territorio italiano non idoneo alle rinnovabili», sostengono.
La posizione di Elettricità futura e Anie
Non si tratta di previsioni catastrofiche, quanto di prendere atto di cosa sta già succedendo nel Paese. Il caso più eclatante è quello della Sardegna, dove una maggioranza di centrosinistra (attraverso la legge regionale n. 20 del 5 dicembre 2024) ha incluso nelle aree idonee ai nuovi impianti rinnovabili solo l’1% circa del territorio sardo. Per chiudere il cerchio del paradosso il Governo Meloni, che proprio col suo decreto nazionale ha dato alle Regioni la possibilità di restringere a piacere il perimetro delle aree idonee, ha deciso a fine gennaio di impugnare la legge sarda perché ritiene che infranga ben tre articoli della Costituzione italiana. L’energia – sostiene il Governo – non è materia delegabile all’autonomia delle singole regioni. A rimetterci, ancora una volta, insieme alla decarbonizzazione è la competitività nazionale.
«I benefici socio-economici per l’Italia derivanti dallo sviluppo della filiera delle tecnologie rinnovabili sono notevoli e potrebbero equivalere fino al 2% del Pil annuo da qui al 2030». È quanto scrivono nella nota congiunta Elettricità futura e Federazione Anie. «Lo sviluppo e il consolidamento della filiera industriale e della produzione nazionale di tecnologie per la transizione passano attraverso la crescita della domanda interna di tecnologie e la possibilità di realizzare i progetti». Basti osservare che se nell’ultimo quadriennio l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto la Germania avrebbe risparmiato 49,4 miliardi di euro sui costi dell’elettricità. Prendendo a riferimento Spagna e Portogallo, invece, si arriva a ben 74 miliardi di euro, secondo le stime del ricercatore Cnr Luigi Moccia.
La spinta dell’UE
L’Europa, nel frattempo, continua a spingere sulla transizione ecologica. Nel 2024 in Ue per la prima volta il fotovoltaico ha prodotto più elettricità (11%) del carbone (10%). L’eolico (17%) ha generato più elettricità del gas (16%) per il secondo anno consecutivo. È quanto emerge dall’ultima European electricity review realizzata dal think tank Ember.
«L’Italia – commenta nel merito Beatrice Petrovich, analista senior di Ember – si sta avvicinando a un futuro energetico pulito. Ma rimane molto dipendente dal gas fossile per la produzione di elettricità, rendendo le famiglie e le imprese più vulnerabili alle impennate nei prezzi del gas rispetto ad altri Paesi dell’Ue. Mantenere la crescita dell’eolico e del solare aiuterà a proteggere i consumatori italiani dagli shock dei prezzi sul mercato globale del gas».