28 Feb, 2023
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Mentre l’Italia diventa terzo produttore in Europa di soluzioni abitative in legno, fatica a svilupparsi un settore organico, per la bioarchitettura e la bioedilizia, in grado di rispondere correttamente alle sfide ambientali. Dalla progettazione, alla scelta delle soluzioni tecniche ai materiali, siano essi di origine naturale o frutto di riciclo, manca una strategia di lungo termine che consenta di uscire dall’imperativo del cemento. Ne abbiamo parlato con due professionisti del settore: Riccardo Ravecca e Stefano Feltrin 

Italia tra i Leader Europei nella Costruzione di Case in Legno

L’Italia si fa strada nel settore delle costruzioni in legno. A dirlo sono i dati del 7° report del Centro Studi FederlegnoArredo, pubblicato a metà febbraio, analisi di mercato che ogni anno fotografa la filiera delle costruzioni in legno in Italia. Il nostro Paese è diventato il terzo produttore di soluzioni abitative in legno, in Europa, dopo Germania e Svezia: nel 2021 ha infatti registrato un turnover per una produzione di edilizia in legno di 1,795 miliardi di euro.

Sono più di 3.400 le nuove unità abitative realizzate, con una tendenza verso la realizzazione di opere caratterizzate da una complessità ingegneristica crescente. I risultati del rapporto si basano sull’indagine annuale condotta presso le aziende associate ad Assolegno di FederlegnoArredo, che operano nel settore della realizzazione di edifici a struttura portante in legno. Lo studio coinvolge nell’analisi statistica i maggiori players del mercato e raggiunge una rappresentatività di circa l’80% del fatturato generato. Le regioni dove si concentrano il maggior numero di realizzazioni sono Lombardia (prima per numero di aziende con 70 imprese) Trentino, Veneto, Emilia Romagna e Marche; allo stesso tempo i maggiori players si concentrano nelle province autonome di Trento e Bolzano (con un peso del 34% sul valore della produzione del settore).

“Circa 1 casa su 13 è costruita in bioedilizia in legno, raggiungendo oggi una percentuale sul complessivo dei permessi di costruire che è superiore al 7,3%”, dice l’associazione. “Aumenta anche il valore costruito al metro quadro e la dimensione media delle costruzioni, dati che riflettono la capacità dell’edilizia in legno di rivolgersi anche a realizzazioni sempre più complesse. Si sta quindi sviluppando un trend positivo che coinvolge anche la realizzazione di edifici multipiano e che, per maggior parte delle opere, abbraccia all’interno del nostro circuito urbano, complessi realizzativi aventi 4-5 piani fuori terra. Questa tipologia costruttiva, intesa come nuova foresta urbana, può sicuramente contribuire a un sviluppo sostenibile del segmento edile, riuscendo di fatto ad essere un magazzino di carbonio e mitigando gli effetti del cambiamento climatico”.

Sfide per la Bioedilizia in Italia: Mancanza di una Strategia a Lungo Termine

Eppure, nonostante i numeri in crescita per il settore legno, la bioarchitettura e la bioedilizia – termini ombrello che comprendono numerose tecniche e materiali, oltre al legno – faticano a diventare realmente competitivi con le soluzioni tradizionali. All’origine di questa distanza ci sono molti fattori. Manca una conoscenza del territorio approfondita e aggiornata, rappresentazione simultanea di tutte le informazioni necessarie a un’attenta pianificazione, come gli aspetti geologici, idrogeologici, la microzonazione sismica, le vegetazioni, i paesaggi, i limiti, i vincoli. Informazioni che devono essere accessibili a chiunque, anche nell’ottica di velocizzare procedure e decisioni.

Il carattere di urgenza che assume il cambiamento nei modi di costruire e abitare richiede il coinvolgimento di molti attori con responsabilità, competenze e risorse diverse. Non sempre è facile far convergere tutti questi soggetti verso un obiettivo comune: gli interessi di parte, la politica, la diffidenza alle trasformazioni sono importanti freni allo sviluppo. 

Il punto di vista

Abbiamo chiesto a due professionisti del settore, un architetto e un costruttore, la loro opinione su questo dibattito. Anche a partire da un dato emerso da un recente studio di PlanRadar, che evidenzia come la tendenza a utilizzare materiali riciclati/ sostenibili sia presente in otto dei 12 Paesi europei da loro intervistati, tra cui l’Italia. 

Riccardo Ravecca è architetto, progettista e direttore lavori di cantieri. Lavora come Senior Architect insieme ad altri 20 colleghi presso lo studio italo-belga Créative Architecture, che ha sede a Genova e Liegi. 

Stefano Feltrin invece dirige la Edil Etruria da circa 20 anni. La sua azienda abbraccia tutti gli interventi edilizi, dalla manutenzione straordinaria alle ristrutturazioni, i restauri e le nuove edificazioni. 

Cosa frena lo sviluppo della bioedilizia in Italia? Le difficoltà sono più di tipo culturale o produttive (intese come mancanza di filiere adeguate)? 

Ravecca – A mio avviso i fattori più importanti sono due: i costi e la scarsa conoscenza. Per quanto riguarda i costi, possiamo dire con certezza che l’utilizzo di materiali sostenibili incide notevolmente sul lavoro, sia in fase di progettazione che talvolta in corso d’opera. A fronte di budget limitati, sia di clienti pubblici che privati, questo elemento frena lo sviluppo di soluzioni più ecologiche. L’altro elemento è in effetti di tipo culturale. Registriamo spesso la scarsa conoscenza di materiali alternativi, sia tra i colleghi che tra i committenti. L’architettura tradizionale ha abituato all’utilizzo di certi materiali e di certe tecniche, mentre le scelte “sostenibili” spesso impongono anche delle modifiche nel metodo della costruzione. Sia gli operatori che le imprese si devono formare e informare per abituarsi ad andare in questa direzione. 

Feltrin – C’è un po’ di scetticismo da parte della committenza, anche per i costi che sono nettamente più elevati. Dal punto di vista tecnico frena molto anche il fatto di non sapere esattamente la durata dei materiali che andiamo ad applicare, rispetto invece a quelli di origine chimico-industriale che sono noti e ampiamente studiati. Manca poi la sensibilità culturale, che invece è più presente nel nord Italia, dove da sempre si utilizza il legno, per esempio.  

Quali sono i materiali più promettenti e perché?

Ravecca – Sicuramente il legno è tra i migliori per le strutture, le finiture, i pavimenti e ovviamente anche per gli arredi. In Italia, in particolare nei territori alpini, è anche il più utilizzato nonché il più tipico dal punto di vista della tradizione. Ritengo quindi che abbia maggiori probabilità di sviluppo perché già appartiene alla mentalità delle persone, delle aziende e dei fruitori finali. Inoltre molti isolanti naturali sono promettenti e verranno sempre più utilizzati perché necessari dal punto di vista dell’efficientamento energetico. Penso anche agli intonaci in argilla, ad esempio. 

Feltrin – Per i cappotti termici sicuramente la canapa, il sughero, gli elementi in calce pura. Se in futuro riusciranno ad abbassare i prezzi riusciranno a diventare competitivi con i materiali tradizionali, perché hanno buone caratteristiche tecniche e una buona performance.

Quanto ha influito il rincaro delle materie prime in questi ultimi due anni? 

Ravecca – Sicuramente ha influito, dato che già in partenza parliamo di materiali non economici. L’aumento dei prezzi ha reso questo settore sempre più di nicchia. Inoltre i vari bonus edilizi non prevedevano questi materiali nel prezzario DEI, e noi progettisti, dovendo fare riferimento a questi strumenti, ci siamo trovati di fronte a un ulteriore problema. Alcuni materiali infatti non sono previsti perché non sufficientemente testati, mentre noi dobbiamo invece fornire garanzie sulla durata nel tempo delle soluzioni proposte. Credo che le normative e i prezzari dovrebbero essere sempre aggiornati sui materiali, proprio per andare nella direzione di una più ampia scelta di soluzioni sostenibili. 

Feltrin – Moltissimo. I vari bonus edilizi sono stati normati in modo disordinato e a tratti superficiale. Tutti i materiali hanno subito aumenti ingiustificati e senza controlli. In assenza di un tetto ai prezzi si è creato un mercato drogato e con realtà poco serie che hanno speculato. 

Che prospettive hanno la bioarchitettura e la bioedilizia per il settore non residenziale?

Ravecca – Noi di Créative Architecture abbiamo realizzato un asilo nido a Verviers in Belgio con una struttura completamente in legno. Un edificio di due piani, pensato per far crescere i bambini all’interno degli elementi naturali. Ad esempio, lì abbiamo trovato un albero centenario che è diventato l’elemento centrale dell’opera. Ci capita spesso di utilizzare il legno, soprattutto nei progetti di edilizia scolastica, perché è un materiale adatto, elastico e velocizza moltissimo il processo costruttivo. Oggi spesso ci chiedono prodotti meno impattanti dal punto di vista dell’ambiente, in particolare per gli interni, come finiture e piastrelle. Cerchiamo di utilizzare il meno possibile la plastica, ma in alcuni casi è inevitabile perché ancora non ci sono alternative. 

Più in generale, personalmente sono un ottimista, quindi per me le prospettive sono positive, perché c’è un territorio di mercato vasto ma libero, dove è più facile, per chi ci crede, imporsi e svilupparsi. Il settore non residenziale è molto vario: va dall’amministrativo agli uffici, al commerciale, al produttivo. Per le imprese che vogliono utilizzare la bioarchitettura come mezzo promozionale, come pubblicità indiretta, questo è un elemento importante. Ma resta il fatto che occorrono persone consapevoli e “illuminate”, senza le quali è difficile prevedere uno sviluppo importante. L’utilizzo degli incentivi è sicuramente un promotore per l’economia, e se ci fossero ulteriori interventi normativi in tal senso sono convinto che darebbero un’importante spinta all’intero settore. 

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