28 Ott, 2024
Economia circolare, lo stato dell’arte
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Il Rapporto 2024  curato dal Circular Economy Network fotografa la situazione italiana e la confronta con gli altri Paesi europei. Primi per il tasso di riciclo dei rifiuti e in buona posizione per investimenti e utilizzo circolare della materia. L’Italia con lo 0,7% del PIL risulta al terzo posto per gli investimenti, con un balzo in avanti a due cifre in cinque anni. Il focus sulle PMI mostra un tessuto sensibile e pronto a cambiare rotta. L’obiettivo, per tutta l’UE, resta il raddoppio del tasso di circolarità entro il 2030 

Come procede l’economia circolare nel nostro Paese? È la domanda all’origine del Rapporto sull’economia circolare in Italia edizione 2024, curato dal Circular Economy Network – ente creato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile – in collaborazione con Enea, che fotografa lo “stato dell’arte” dell’economia circolare in Italia e soprattutto lo mette a confronto con gli altri paesi europei. Un report che traccia, con i numeri, un quadro significativo che contribuisce a fare chiarezza sugli ambiti toccati dall’economia circolare e soprattutto sui progressi raggiunti. Nel rapporto 2024, il sesto redatto e che in più presenta anche un focus sull’economia circolare nelle piccole imprese, per la prima volta le performance di circolarità delle cinque maggiori economie dell’Unione Europea sono state comparate usando gli indicatori della Commissione europea: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza. 

L’Italia conferma il suo primato in termini di economia circolare

Anche con i nuovi parametri, si intende rispetto alla rilevazione precedente, l’Italia conferma il suo primato (con 45 punti) in termini di economia circolare, seguita da Germania (38), Francia (30) Polonia e Spagna (26). Siamo primi in classifica per il tasso di riciclo dei rifiuti: nello specifico, nel 2021 abbiamo un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, 8% in più della media UE 27 (64%). Inoltre, il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4% tra il 2017 e il 2022, raggiungendo il 49,2%. La media UE è del 48,6%, la Germania “vince” su tutti con il 69,1%. Nel 2022, inoltre, la produttività delle risorse in Italia ha generato, per ogni chilo di risorse consumate, 3,7 euro di PIL, +2,7% rispetto al 2018.

La media UE, nel 2022, è 2,5 euro/kg. Per quanto riguarda il tasso di utilizzo circolare di materia, cioè il rapporto tra l’uso di materie prime seconde generate col riciclo e il consumo complessivo di materiali, l’Italia conferma la sua posizione nel 2022, con un valore pari al 18,7%. Il riciclaggio dei RAEE, le apparecchiature elettriche ed elettroniche, nel 2021 è stato pari all’87,1% (meno due punti percentuali rispetto al 2017), con una media UE dell’81,3%. Tutto ciò a fronte di una produzione media pro capite di rifiuti urbani di 513 kg nel 2022 nella UE; mentre in Italia siamo passati dai 504 kg/ab del 2018 ai 494 kg/ab del 2022. 

LA TOP 3 DEL RICICLO

  1. ITALIA 
  2. GERMANIA 
  3. FRANCIA

Quali investimenti e l’occupazione

Gli investimenti in alcune attività di economia circolare nell’UE 27 nel 2021 sono stati pari a 121,6 Mld di euro, lo 0,8% del PIL. L’Italia con 12,4 Mld di euro (0,7% del PIL) risulta al terzo posto, dietro a Germania e Francia. Rispetto al 2017, in questo ambito, segniamo però un aumento del 14,5%. E poi l’economia circolare crea lavoro. Nel 2021 nella UE 27 gli occupati in alcune attività dell’economia circolare erano 4,3 milioni, il 2,1% del totale; in Italia 613.000, cioè il 2,4%, +4% rispetto al 2017.

Siamo secondi dopo la Germania, che conta in questi settori 785.000 lavoratori (1,7% sul totale). Il valore aggiunto dell’intera UE relativo ad alcune attività dell’economia circolare nel 2021 è stato di 299,5 Mld di euro, il 2,1% del totale dell’economia; in Italia è pari a 43,6 Mld di euro, 2,5% del totale (era il 2,1% nel 2017). Anche Spagna e Germania lo hanno incrementato, mentre Francia e Polonia l’hanno ridotto.

Il quadro è estremamente positivo su molti fronti

Il quadro è estremamente positivo, quindi su molti fronti, ma non mancano alcuni aspetti critici su altri versanti. Ad esempio, il consumo dei materiali in Italia nel 2022 è stato di 12,8 tonnellate/abitante, minore della media europea (14,9 t/ab) ma in crescita (+8,5%) rispetto alle 11,8 t/ab del 2018. Ancora, sempre nel 2022, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materiali (46,8%) è stata più del doppio della media europea (22,4%), anche se in calo (- 3,8%) rispetto al 2018. Infine, per ciò che riguarda i brevetti relativi alla gestione dei rifiuti e al riciclaggio, nel 2020 per ogni milione di abitanti ne sono stati depositati 0,46, cioè complessivamente 206 nell’Unione Europea. In Italia solo 21, un -25% rispetto al 2016.

Le conclusioni a cui si giunge nel rapporto indicano che, nel loro insieme gli indicatori di trend della circolarità, basati sulla dinamica degli ultimi cinque anni, segnalano una certa difficoltà dell’Italia a mantenere la sua posizione di leadership. «Puntare sulla circolarità deve essere la via maestra per accelerare la transizione ecologica e climatica e aumentare la competitività delle nostre imprese», ha dichiarato Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network, durante la presentazione del rapporto. «Ancora di più per un Paese povero di materie prime e soprattutto, nel contesto attuale, caratterizzato da una bassa crescita e dai vincoli stringenti del rientro del debito pubblico». 

Il focus sulle PMI

Molto interessanti le informazioni arrivate dal focus condotto sulle piccole e medie imprese, struttura portante dell’economia nel nostro paese. Con un’indagine realizzata tra dicembre 2023 e gennaio 2024, in collaborazione con CNA, è stato chiesto a 800 piccoli imprenditori cosa pensano e soprattutto come agiscono rispetto alle politiche green. Il campione era composto per il 49% da imprese nel settore dei servizi, la restante metà nell’industria e in particolare il 35,5% nella manifattura e il 14,1% nelle costruzioni. Il 65% del campione delle piccole imprese intervistate dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare: oltre il doppio rispetto a quanto rilevato nel 2021.

Inoltre, il 10% delle imprese ha intenzione di avvicinarsi all’economia circolare nel prossimo futuro. Gli interventi realizzati più spesso riguardano l’uso di materiali riciclati (68,2%), la riduzione degli imballaggi (64%), interventi per la durabilità e la riparabilità del prodotto (53,2%). Rispetto ai principali vantaggi derivanti dall’adozione di misure di economia circolare, il 70,4% delle imprese indica la maggiore sostenibilità ambientale, la riduzione dei costi di produzione (61%), la maggiore efficienza (35,6%) e l’impulso all’innovazione (34,2%). L’indagine conferma che le piccole imprese possono svolgere un ruolo di primo piano nella transizione verso un’economia circolare, ma sarebbero necessarie politiche pubbliche maggiormente orientate in questa direzione. 

LE AZIONI DELLE PMI GREEN

  • 68,2% USO DI MATERIALI RICICLATI 
  • 64% RIDUZIONE IMBALLAGGI
  • 53,2% DURABILITÀ DEI PRODOTTI]

Dove va l’Europa

Lo sviluppo di un’economia circolare è una componente fondamentale dell’impegno dell’Unione europea ad affrontare i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e l’inquinamento. Negli ultimi anni l’Unione europea ha rafforzato le proprie politiche in materia di economia circolare, e l’obiettivo è di arrivare a politiche ancora più vincolanti per accelerare l’adozione di un’economia maggiormente rigenerativa in Europa. L’approccio dell’Europa, in particolare, intende andare oltre l’attuale attenzione per i rifiuti per rivedere più direttamente l’uso delle risorse.

La relazione dell’AEA, European Environment Agency «Accelerating circular economy in Europe – State and outlook 2024» (Accelerazione dell’adozione dell’economia circolare in Europa: situazione e prospettive per il 2024, ndr) traccia un quadro piuttosto complesso. Secondo la relazione, negli ultimi anni la tendenza a un forte aumento del consumo di risorse registrato in passato si è stabilizzata. È stato osservato un modesto disaccoppiamento tra il consumo di risorse e la crescita economica dell’UE, con un leggero calo del consumo complessivo di materiali a fronte di un incremento del prodotto interno lordo (PIL).

In aumento la dipendenza dell’Europa dalle importazioni mondiali

Allo stesso tempo, la dipendenza dell’Europa dalle importazioni mondiali ai fini dell’approvvigionamento in determinati minerali metallici, combustibili fossili e materie prime essenziali sta attualmente aumentando, sullo sfondo di un contesto geopolitico problematico. È certamente vero che negli ultimi anni si sono registrati in Europa evidenti progressi verso la circolarità, come si evince dall’aumento dei tassi di riciclaggio e dall’emergere di un’economia della condivisione nonché di altri modelli operativi circolari.

Infatti, con un tasso di circolarità dell’11,5% nel 2022, rispetto ad altre regioni del mondo, l’Europa consuma una percentuale più elevata di materiali riciclati. Tuttavia, i progressi sono stati lenti e l’UE è ancora lontana dal raggiungere il proprio ambizioso obiettivo di raddoppiare il tasso di circolarità entro il 2030. Secondo la relazione dell’AEA, che ha valutato i progressi compiuti verso il raggiungimento degli attuali obiettivi in termini di circolarità, vi è una probabilità bassa o modesta che questi obiettivi siano raggiunti nei prossimi anni.

La relazione spiega, tuttavia, che molte politiche in materia di economia circolare sono ancora relativamente nuove e alcune non sono ancora state pienamente attuate a livello nazionale. Inoltre, ci vuole tempo perché l’effetto delle misure previste si traduca in cambiamenti dei modelli operativi, di consumo e, in ultima analisi, di utilizzo delle risorse attualmente prevalenti nell’UE. 

I potenziali interventi attuabili in futuro

La relazione esamina inoltre i potenziali interventi attuabili in futuro, come la definizione di obiettivi e la promozione di un riciclaggio di qualità superiore, in cui i materiali mantengono la loro funzione e il loro valore originali il più a lungo possibile, al fine di promuovere l’indipendenza dell’UE in termini di risorse e di ridurre le importazioni. Occorre prestare particolare attenzione anche agli aspetti economici dell’approvvigionamento di materie prime, in modo che gli incentivi e i prezzi delle stesse tengano conto del loro impatto ambientale, e alla predisposizione di percorsi più efficaci per la reintroduzione dei materiali riciclati nel ciclo produttivo dell’economia.

Alla base di questi cambiamenti c’è la necessità di ridurre il consumo di prodotti da livelli che sono attualmente insostenibili, sebbene le tendenze attuali nell’UE vadano purtroppo nella direzione opposta. Esistono numerose opportunità per far sì che le future politiche dell’UE siano orientate dalle ricerche in corso sulla domanda da parte dei consumatori e sulle strategie atte a cambiarne il comportamento. 

«Una politica industriale europea per la transizione»

Intervista a Fabrizio Vigni,

Qual è il suo commento generale sui dati del report redatto dal Network?

Il rapporto conferma che l’Italia è tra i paesi leader in Europa. Per redigerlo abbiamo usato indicatori riconducibili al framework proposto della Commissione UE e, inoltre, un sistema di comparazione tra le cinque principali economie europee. Tra i risultati più virtuosi dell’Italia vi sono quelli nel riciclo, in particolare dei rifiuti industriali, ma anche la produttività delle risorse e il tasso di circolarità nell’uso dei materiali. Siamo tra i paesi leader, sì, ma dobbiamo accelerare, insieme all’intera Europa, per un’economia ancora più circolare. Altrimenti difficilmente potremo raggiungere l’obiettivo di raddoppiare entro il 2030 il tasso di circolarità. E va ricordato che l’economia circolare, accanto alla transizione energetica, è uno dei due pilastri del Green Deal: anche gli obiettivi di decarbonizzazione e neutralità climatica non potranno essere raggiunti senza la circolarità. Per non dire del fatto che anche la competitività e l’autonomia strategica dell’Europa, si pensi ad esempio alle materie prime critiche, dipendono dallo sviluppo di un’economia più circolare.

Quali politiche servono al nostro paese per accelerare la transizione verso l’economia circolare?

La sfida più ravvicinata è completare entro il 2026 gli investimenti previsti dal PNRR. Sempre nell’ambito del PNRR l’Italia ha definito la Strategia nazionale per l’economia circolare, che va attuata rispettando puntualmente il cronoprogramma. C’è bisogno di misure che sostengano, anche attraverso la fiscalità, il riutilizzo di materie prime seconde. Più in generale è necessario un sistema di norme a sostegno della transizione, dando attuazione alle direttive e ai regolamenti UE, e al tempo stesso semplificando una serie di procedure, ad esempio in materia di end of waste. Ciò detto, una questione cruciale è avere in Europa una politica industriale comune che sostenga le imprese nella transizione ecologica. L’economia circolare non riguarda solo il riciclo e la gestione dei rifiuti, significa trasformare l’intero ciclo produttivo e le catene del valore, richiede innovazione tecnologica e investimenti. È una buona notizia che Ursula von der Leyen abbia riconfermato la rotta del Green Deal, ma se vogliamo restare al passo della concorrenza di USA e Cina nella sfida tecnologica che plasmerà l’economia globale nei prossimi decenni ora servono una robusta politica industriale e ingenti risorse finanziarie, sia pubbliche che private, da investire nella transizione ecologica. 

Qual è il giudizio sul piano ‘Transizione 5.0’ e riguardo alle imprese, ce la faranno a rispettare la scadenza del 2025 per accedere agli incentivi?

Il piano Industria 4.0 prima e poi Transizione 4.0, che ha segnato un passo in avanti importante estendendo agli investimenti per la transizione ecologica il sostegno alle imprese in forma di credito d’imposta, dal 2017 ad oggi ha costituito il più importante strumento di politica industriale. Ora, con Transizione 5.0 che si aggiunge a Transizione 4.0, si mobilitano risorse per quasi 13 miliardi nel biennio. Bene, anche se per evitare ogni possibile dubbio interpretativo avremmo preferito che il piano “5.0” fosse ancora più esplicito nell’includere gli investimenti per l’economia circolare. Inoltre sarebbe utile aggiornare l’elenco dei beni materiali e immateriali da agevolare, visto che risale a quasi dieci anni fa e le innovazioni tecnologiche corrono rapidamente. Ciò che più preoccupa, però, è il ritardo con cui sono stati emanati dal governo i provvedimenti applicativi, se si considera la scadenza a fine 2025. Per le imprese è una corsa contro il tempo. Per questo sarebbe bene ragionare prima possibile su come prorogare e aggiornare Transizione 5.0, in sintonia con il “Clean Industrial Deal“ annunciato da Ursula von der Leyen. S.B.

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