28 Ott, 2024
PFU: ripensare la responsabilità
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Gli pneumatici fuori uso rappresentano una filiera chiave dell’economia circolare. La loro gestione è affidata ad uno schema di Responsabilità Estesa del Produttore che però presenta alcuni nodi da sciogliere. Dall’accumulo di PFU presso i gommisti, alla capacità di garantire concorrenza e parità di accesso, a un vero sistema di monitoraggio dei flussi. Per invertire la rotta occorre puntare su prevenzione, riutilizzo e riciclo. Ma soprattutto servono strumenti di politica industriale per costruire nuovi sbocchi e nuovi mercati 

Gli pneumatici fuori uso (PFU) rappresentano una filiera chiave, ove sostanziare l’economia circolare. La loro gestione è intrinsecamente connessa al mondo della gomma che guarda, con sempre maggiore attenzione, agli PFU. Relativamente alla produzione, i quantitativi di PFU prodotti nel 2022 eccedono le 530 mila tonnellate, con un incremento del 7,8% rispetto al 2021. Circa la gestione, nello stesso anno il trattamento ha interessato circa 520 mila tonnellate, con una crescita del 6,5% rispetto al 2021. 

Se si guarda alle modalità gestionali, prevale il recupero di materia, con 444.333 tonnellate (85,4%). Seguono la giacenza al 31.12 (59.634 ton, 11,5%) e il coincenerimento (15.994 ton, 3,1%), laddove appena 109 tonnellate risultano trattate mediante operazioni di smaltimento. Queste stime si pongono in parziale conflitto con i dati comunicati dai principali consorzi e i quantitativi di materiale di recupero di PFU effettivamente in circolazione, come sostengono le principali aziende di riciclo di PFU. 

A tali volumi, vanno aggiunte circa 84 mila tonnellate esportate all’estero. Anche in questo caso, si registra un incremento, rispetto all’anno precedente, pari al +19%: dalle oltre 70 mila tonnellate del 2021, alle circa 84mila del 2022. Il recupero energetico assorbe la quota prevalente di gestione degli PFU esportati, con quasi il 55% del totale, pari a circa 46mila tonnellate. 

La Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) degli PFU

Gli PFU sono classificati nel nostro ordinamento come rifiuto speciale non pericoloso, con codice EER 160103 che ne definisce la categoria secondo la Direttiva 75/442/CEE. Il D.Lgs. n. 152/2006 (meglio noto come Testo Unico Ambientale – TUA) li classifica tra le “particolari categorie di rifiuti” la cui gestione è sottoposta a disposizioni specifiche. Infatti, per la loro gestione, l’Art. 228 li affida ad uno schema di Responsabilità Estesa del Produttore (Extended Producer Responsibility, in inglese, EPR), in applicazione del principio comunitario del chi-inquina-paga. Sistema che impone, ai produttori/importatori «l’obbligo di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale». 

Introduzione Operativa del Sistema EPR

Operativamente, questo schema EPR è stato introdotto nel nostro paese con il Decreto Ministeriale (DM) 11 aprile 2011, n. 82, rivisto e corretto con il più recente DM 19 novembre 2019, n. 182, che non ha risolto molti dei nodi ancora da sciogliere. Il modello di EPR assicura all’ultimo anello della catena del ricambio (generalmente un gommista) una sorta di impegno da parte del sistema al ritiro gratuito dello pneumatico smontato e considerato rifiuto. A finanziare il meccanismo di raccolta è destinato un extra prezzo, definito “contributo ambientale”, che viene versato dal produttore/importatore al momento dell’immissione nel mercato, e che viene trasferito sul prezzo di vendita ai vari stadi della catena di distribuzione fino a gravare sul prezzo finale del pneumatico nuovo (compresi quelli usati importati e ricostruiti su carcassa importata) pagato dal consumatore.

Il Finanziamento del Sistema e il Ruolo dei Consumatori

Se sono quindi i consumatori a finanziare il sistema, con un extra prezzo che dev’essere esposto nello scontrino o fattura, ai produttori/importatori rimane comunque la responsabilità di provvedere logisticamente alla raccolta dell’equivalente, in termini di peso, del loro immesso nel mercato. Si parla in questo caso di target, ovvero dell’esatto quantitativo di PFU che ciascun produttore/importatore è tenuto a raccogliere e trattare, sulla base delle rispettive quantità immesse, in esito alle richieste – in ordine temporale – che giungono dai gommisti (insieme agli altri professionisti autorizzati all’operazione di sostituzione degli pneumatici), tecnicamente definiti come punti di generazione degli PFU.

Forme di Adempimento della Responsabilità Estesa

La responsabilità estesa che grava sui produttori/importatori può essere assolta sia in forma individuale – ciascun produttore/importatore provvede a ritirare il proprio target di riferimento – oppure in forma collettiva, cioè tramite società consortili senza scopo di lucro, costituite ad hoc dagli stessi produttori/importatori col compito di adempiere agli impegni che discendono dalla responsabilità del produttore.

L’adozione dell’EPR e l’evoluzione della filiera degli PFU

L’adozione dell’EPR ha sicuramente migliorato l’efficienza e consentito la nascita di una filiera più organizzata, diretta soprattutto al recupero degli PFU, che hanno trovato un loro sbocco di mercato in numerose applicazioni. Se oggi esiste una filiera del recupero degli PFU, è principalmente merito del modello EPR messo in pratica. Allo stesso tempo, non mancano criticità. Tra le principali problematiche, va sicuramente annoverata l’emergenza che nasce dall’accumulo di PFU presso i gommisti. Quantitativi in eccesso rispetto ai target fissati anno dopo anno dai produttori/importatori, che poi diventano target per le gestioni collettive e/o per le gestioni individuali. 

Criticità nella gestione degli accumuli di PFU

Per alleviare la crisi degli accumuli presso i gommisti, a fine 2020, il Ministero dell’Ambiente ha stabilito un invito alla raccolta e alla gestione di ulteriori quantità di PFU nella misura del 15% oltre i propri obiettivi (incrementabile fino al 20%), a carico dei consorzi EPR e dei sistemi individuali con immesso superiore alle 200 tonnellate. Un provvedimento che è stato riproposto negli anni a seguire e che, con ogni probabilità, sarà rieditato anche per il 2024. 

Ulteriori anomalie sono le seguenti. In primo luogo, la capacità di garantire la concorrenza e la parità di accesso. Contrariamente allo spirito dell’EPR, secondo cui le società consortili nascono senza scopo di lucro, accade che alcuni attori interpretino la propria mission come quella di fornire servizi alle imprese. Un comportamento che pone un tema di regola della concorrenza rispetto agli operatori che operano fuori dagli schemi EPR. In secondo luogo, i modelli EPR proposti non hanno sempre restituito i risultati attesi, in quanto non hanno incentivato il riutilizzo e le pratiche di prevenzione. Inoltre, appare poco diffusa la rimodulazione del contributo ambientale per sostenere ecodesign e prevenzione.

La gestione degli extra target e la tracciabilità dei flussi

Rileva, poi, la questione degli extra target e dei criteri con cui vengono definiti i target di raccolta dei singoli gestori, così da comprendere da dove arrivano gli extra target, ovvero le quantità di PFU (circa 30-40mila tonnellate all’anno, stima MASE) non ritirati. A ciò, si aggiunge il disallineamento temporale tra i target fissati a inizio anno (rispetto all’immesso al mercato dell’anno precedente) e le entrate da contributo ambientale che si incassano, invece, nell’anno corrente. In materia di tracciabilità degli PFU, manca un vero sistema di monitoraggio dei flussi, dalla raccolta fino al recupero/smaltimento.

Infine, si hanno l’assenza di fidelizzazione tra gestori e punti di generazione del rifiuto (gommisti) e l’evenienza, per cui, ciascun gestore può raggiungere il target raccogliendo solo in aree e luoghi di facile accesso (i.e. vicino a grandi arterie stradali, aree commerciali, etc.). Un’eventualità, questa, a cui il DM 182 ha cercato di porre rimedio prevedendo l’obbligo di modulare le raccolte sulla base di aree geografiche. 

I possibili miglioramenti al sistema

Quindi, come intervenire? In primo luogo, serve tornare al senso profondo dell’EPR, puntando sulla prevenzione, in primis, e, poi, sul riuso/preparazione per il riutilizzo e sul riciclo. Per incentivare la transizione ecologica della nostra economia, servono pertanto strumenti di politica industriale e scelte coraggiose soprattutto sul lato dell’offerta, per esempio costruendo nuovi sbocchi e nuovi mercati per i prodotti di riciclo, laddove gli schemi di EPR dovrebbero servire prevalentemente a rispondere a esigenze di tutela ambientale.

In secondo luogo, occorre estendere il perimetro delle filiere coperte dai meccanismi di EPR, in quanto tali sistemi costituiscono anche un presidio di legalità nel trattamento dei flussi di rifiuti. Le risorse raccolte con il contributo ambientale dovrebbero essere destinate a sostenere proprio quei segmenti della filiera che non reggono la prova del mercato, poiché ritenute meno convenienti dagli operatori, sulla base delle normali condizioni di domanda e di offerta. Non si può desistere dalla ricerca continua delle modalità migliori per assicurare l’efficienza economica e ambientale nella gestione dei flussi, in aggiunta alla leva del contributo pagato dai consumatori finali.

Ampliamento e diversificazione del contributo ambientale

In tal senso, gioverebbe indubbiamente un’estensione della diversificazione del contributo ambientale, alla stregua di quanto già adottato per gli imballaggi in carta e cartone e in plastica. La diversificazione contributiva, infatti, ha il pregio di favorire l’ecoprogettazione dei beni e, conseguentemente, un loro trattamento maggiormente ottemperante con la gerarchia dei rifiuti (preparazione per il riutilizzo, riciclo). Più numerose sono le filiere con un contributo ambientale diversificato, maggiori sono i quantitativi di beni che non diventano rifiuti e, in subordine, di rifiuti che vengono gestiti in maniera ambientalmente efficace. 

Parimenti, andrebbero ridotte le asimmetrie informative nei confronti delle autorità di controllo, a partire dal MASE. A tal proposito, un ruolo centrale lo potranno svolgere sia l’Organismo di Vigilanza dei Consorzi e dei Sistemi Autonomi, in corso di implementazione da parte del Ministero, sia il Registro Nazionale dei Produttori, a cui devono iscriversi tutti coloro che sottostanno ad un regime di EPR.

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