2 Mag, 2022
Tra pubblico e privato: la nuova definizione del rifiuto urbano 
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Tra gli aspetti interessanti delle modifiche introdotte dal D.lgs 116/2020 al Testo Unico Ambientale D.lgs 152/2006 c’è indubbiamente a la definizione di rifiuto urbano e in special modo quello di rifiuto proveniente da utenze definite non domestiche, ossia quello già definito rifiuto “assimilato” agli urbani.

Cosa è cambiato con il D.lgs 116/2020

Nella classificazione dei rifiuti, già con il DPR 915/82, si faceva largo quella definizione di “rifiuti speciali” non pericolosi, diversi dagli urbani data l’origine non derivante da attività domestiche.

Le tipologie di rifiuti che sarebbero definiti “speciali” non pericolosi,  tuttavia, per la normativa del DPR 915/82, erano classificati come assimilati all’urbano. Questa incongruenza ha rappresentato uno dei maggiori impedimenti  allo sviluppo di un coerente settore industriale dei rifiuti.

 La normativa del Testo Unico (ex art. 184) definiva questi rifiuti come provenienti “da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli domestici”, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi delle stesse norme. Aggiungeva inoltre che i comuni “concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti” e quindi anche la gestione dei rifiuti assimilati agli urbani doveva essere inserita nei regolamenti comunali in materia.

Si riservava invece allo Stato la definizione dei criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione di tali tipologie, e lasciava infine la gestione dei rifiuti speciali non pericolosi e non assimilati (non rientranti quindi nel computo della determinazione della tassa sui rifiuti) ai privati .

Nuova definizione di rifiuto urbano

Con l’art. 1 comma 8  del 116/2020 ( che ha modificato l’articolo 183 del Testo Unico) il legislatore ha ridefinito i “rifiuti urbani”  come i  rifiuti  domestici  indifferenziati e differenziati, compresi:  carta  e  cartone,  vetro,   metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti, apparecchiature  elettriche  ed  elettroniche, pile e accumulatori e rifiuti ingombranti. E ancora: materassi e mobili, ma anche altri rifiuti provenienti da fonti “simili” per natura e  composizione ai rifiuti domestici, specificati negli allegati della nuova normativa. Tra questi si elencano i rifiuti di alcune attività produttive, quelli derivanti dallo spazzamento strade e cestini stradali, i rifiuti abbandonati su strade spiagge e fiumi, gli sfalci e le potature.

Il legislatore ha escluso invece  dai rifiuti urbani i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione.

Lo scopo della norma è ridefinire il  rifiuto urbano in linea con gli  obiettivi europei, per favorire  operazioni di riciclo e trattamento efficaci e coerenti sul territorio UE, come da direttiva 2008/98/CE.

Quindi, la nuova norma oggi si riferisce ai rifiuti urbani in senso stretto e non più agli assimilati conferiti dalle utenze non domestiche in base ai regolamenti comunali.

Sembra dunque confermare l’esistenza di una nuova tipologia di rifiuti di provenienza non domestica qualificati direttamente come urbani e non come assimilati ma gestibili come urbani nelle fasi di smaltimento.

Il meccanismo dell’assimilazione è quindi radicalmente mutato rispetto alle precedenti norme contenute nel Testo Unico Ambientale. 

Dal servizio pubblico al mercato privato: le implicazioni della nuova normativa

Infatti, i rifiuti che rispondono alla definizione del nuovo testo possono essere smaltiti dai privati,  il che offre  la possibilità al produttore del rifiuto di scegliere il  gestore. Un aspetto che di fatto rappresenta  l’uscita dal servizio pubblico di tali tipologie di rifiuti, ora definiti estensivamente “urbani” (come da modifiche introdotte  all’art.198 dal D.lgs.116/2020).

È da evidenziare anche la modifica introdotta nella disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani. Con il D.lgs 116/2020 il legislatore ha sostituito il comma 10 dell’articolo 238 del già citato Testo unico ambientale (D.lgs 152/2006).

Il comma afferma che le utenze non domestiche che producono rifiuti – ora definiti urbani -possono conferirli al di fuori del servizio pubblico, dimostrando di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di trasporto e recupero dei rifiuti stessi. 

Tali utenze saranno escluse dalla corresponsione della componente relativa della tariffa, rapportata alla  quantità dei rifiuti urbani conferiti ad altri soggetti.

Nel testo precedente al 116/2020 si prevedeva invece che alla tariffa fosse applicata una riduzione proporzionale alla quantità di rifiuti assimilati che il produttore avesse dimostrato, mediante attestazione, di aver avviato al recupero.

Modifiche alla gestione dei rifiuti: cambiamenti nella tariffa e nella scelta del gestore

Le medesime utenze non domestiche che producono rifiuti assimilati agli urbani possono ora scegliere se servirsi del gestore del servizio pubblico, con la determinazione tariffaria deliberata dal comune, o di soggetti privati sul libero   mercato. I soggetti che lasciano il settore pubblico faranno tale scelta per almeno cinque anni e dovranno  comunicarla al comune o al gestore nei termini indicati dalla nuova normativa.

Inoltre, la norma lascia salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale, ma solo su richiesta dell’utenza non domestica.

Quindi la scelta del gestore, nella visione estensiva della norma e del concetto di rifiuto urbano, lascia la possibilità a determinate utenze di uscire dal servizio pubblico qualora lo ritengano conveniente. Resta da dire che per tali utenze permane da corrispondere la quota della tariffa legata ai servizi indivisibili, quali la pulizia urbana o il lavaggio stradale. Oltreché certificare il corretto smaltimento dei rifiuti urbani tramite soggetti diversi dal gestore pubblico, dato che concorre al raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata dell’urbano.

C’è ancora poca chiarezza tra i Comuni e i gestori del settore, rispetto a come indicare la migliore scelta o offrire il miglior servizio da erogare dopo le modifiche del 116/220. Tuttavia una maggiore trasparenza sarebbe un valore aggiunto sia per il pubblico che per il privato in un’ottica di futuro sviluppo in sinergia. Ciò in special modo alla luce delle nuove disposizioni tariffarie e della qualità del servizio di gestione dei rifiuti deliberate da ARERA con il MTR2 Delibera 03 agosto 2021 363/2021 e con la Delibera 15/2022 sulla regolazione della qualità dei servizi. 

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