Il termine “microplastica” è stato utilizzato per la prima volta nei primi anni 2000, nel contributo scientifico di Thompson e colleghi che descriveva il fenomeno di accumulo di particelle di plastica nei sedimenti marini e nelle acque. Negli anni, la comunità scientifica ha più volte revisionato la definizione di microplastiche sulla base delle loro dimensioni, adottando diversi range di misura per definirne i limiti. Ad oggi, le microplastiche sono conosciute come particelle plastiche di forma variabile, di dimensioni da 0.1 micron fino a 5 millimetri. Le particelle di dimensioni inferiori (1-100 nanometri) vengono invece definite nanoplastiche.
Le microplastiche vengono convenzionalmente classificate a seconda dell’origine in primarie e secondarie. Le microplastiche primarie vengono rilasciate come tali direttamente nell’ambiente, ad esempio mediante il lavaggio di capi sintetici o l’abrasione degli pneumatici durante la guida, ma includono anche quelle prodotte tal quali a livello industriale e aggiunte intenzionalmente nei prodotti cosmetici o abrasivi. Quelle secondarie derivano invece dalla disgregazione progressiva di rifiuti plastici di maggiori dimensioni presenti soprattutto nelle discariche e sulle spiagge, a seguito dei fenomeni di degradazione. Con il procedere della disgregazione, il numero di microplastiche nell’ambiente aumenta esponenzialmente.
Dalle industrie agli oceani: le origini delle microplastiche
La presenza di microplastiche è stata documentata in tutti gli habitat marini del mondo, dagli oceani aperti ai mari chiusi, dalle spiagge, alle acque superficiali, in tutta la colonna d’acqua fino ai fondali più profondi. Infatti, la ridotta dimensione e densità ne facilitano la dispersione su vasta scala mediante le correnti marine e la circolazione geostrofica. Le microplastiche sono facilmente disponibili per gli invertebrati che occupano i più bassi livelli trofici poiché hanno lo stesso range dimensionale della sabbia, del plancton e delle particelle in sospensione. È stato inoltre dimostrato che le microplastiche possano passare da un organismo all’altro accumulandosi a concentrazioni crescenti lungo la catena trofica attraverso processi di bioaccumulo e biomagnificazione. Non esistono ancora dati sufficienti in merito agli effetti tossici sugli organismi marini legati all’ingestione delle microplastiche.
Una minaccia silenziosa: gli effetti delle microplastiche sulla vita marina
Negli studi di laboratorio su invertebrati l’esposizione alle microplastiche è stata collegata a un’alterazione delle normali funzioni gastrointestinali, con blocchi del tratto digestivo o lesioni interne, e ad impatti negativi sulla crescita, sulle risposte immunitarie, e sulla riproduzione. Da sottolineare inoltre che le microplastiche contengono miscele di sostanze chimiche utilizzate come additivi a livello industriale allo scopo di migliorare alcune caratteristiche del prodotto finito come la flessibilità, la robustezza, la resistenza al calore etc. Tra le sostanze più utilizzate ci sono gli ftalati, il bisfenolo A, i ritardanti di fiamma e il nonilfenolo, che possono agire come interferenti endocrini. Oltre a rilasciare sostanze tossiche, le microplastiche possono anche assorbire sostanze tossiche dall’ambiente circostante, come il DDT, gli idrocarburi policiclici aromatici, i policlorobifenili o i metalli pesanti.
Dalla tavola al mare: il rischio microplastiche negli alimenti
La presenza di microplastiche nell’ambiente, oltre che per l’impatto ecologico, desta non poche preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare. Infatti, in virtù dell’ampia distribuzione e persistenza negli ecosistemi marini e dell’accumulo lungo la catena trofica, l’esposizione umana è inevitabile. Tra i prodotti della pesca, i molluschi bivalvi (cozze, vongole, ostriche, cappesante) rappresentano senza dubbio gli alimenti più a rischio data la loro capacità di filtrare elevati volumi di acqua ed il fatto che vengano consumati interi.
Pertanto, risultano tra gli organismi maggiormente investigati e negli ultimi anni il numero di studi dedicati alla ricerca e quantificazione di microplastiche in questa categoria di prodotto è notevolmente aumentata, seppure il numero totale sia ancora relativamente esiguo (Fig. 1). L’ultima conferenza organizzata dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sul tema del rischio associato alla presenza di microplastiche negli alimenti si è tenuta nel 2021. In tale contesto, è stata espresso la necessità di indagare ulteriormente sui rischi tossicologici nell’uomo, soprattutto fornendo dati attendibili in merito alla valutazione dell’esposizione, la cui reale entità rimane ad oggi sconosciuta.